Per tre giorni non sono usciti che pianti e lamenti, dalle mura di quell’appartamento nel Perugino. Alla fine qualcuno nel caseggiato ha segnalato l’anomalia. E’ in questo modo che gli uomini della Forestale hanno potuto liberare il cagnolino abbandonato a se stesso senza cibo né acqua. Solo. Condannato a morte. Ma lui, con la vitalità dei suoi due anni, si è ribellato.
Ha pianto e abbaiato per tre giorni filati nella speranza che qualcuno lo sentisse e gli aprisse la porta di quella che sarebbe dovuta diventare la sua tomba per scelta della donna che prima lo aveva trovato e preso con sé e poi gli aveva riservato quella fine, lasciandolo lì come un giocattolo vecchio da buttar via. Uno straccetto.
Quella donna è stata rintracciata ed è finita a processo per maltrattamento. Uno dei testimoni chiamati a deporre ha raccontato di aver pensato, inizialmente, che quei lamenti fossero di un bambino che piangeva. Poi, dopo qualche giorno, ha capito che qualcosa non andava e ha chiamato le forze dell’ordine che, una volta nell’appartamento, hanno scoperto che il pianto era di un piccolo, sì, ma a quattro zampe.
Stava spossato seduto in un angolo, senza cibo né acqua, accanto ai propri escrementi. I successivi accertamenti, come riferito dal veterinario della Asl che aveva preso parte ai soccorsi, hanno chiarito che il cane era stato trovato per strada dalla donna e portato a casa sua. E lì abbandonato. Il piccino alla fine, grazie al microchip, è riuscito a tornare tra le braccia dei suoi veri proprietari che lo cercavano da giorni.