Attualmente, quando torno a casa da lavoro, la prima cosa che faccio è cercare Daisy con lo sguardo. Di solito la ritrovo sul divano oppure, ultimamente, sul cuscino grigio che le ha regalato per Natale mio fratello e mi osserva sonnecchiante, sbadiglia come chi si sta risvegliando da un sonno rilassato e, poco dopo, mi corre incontro scodinzolante.
Questa è la scena tipica che mi si presenta da mesi ormai, ogni volta che rincaso in pausa pranzo e la sera. Mi piace che questa sia diventata la nostra quotidianità e che, comunque sia andata la mia mattinata o la giornata lavorativa, quando aprirò il portone, lei sarà lì, e si stiracchierà osservandomi, come per chiedermi: “Beh? Già di ritorno?”. Ovviamente ci sono delle varianti, ad esempio, oggi tornando a casa l’ho trovata bella vispa…sopra al tavolo (che di solito le è proibito), lanciandomi lo stesso sguardo. Ebbene sì, ero già di ritorno e forse aveva calcolato male le tempistiche decidendo così di osservare il mondo dall’alto nel momento sbagliato! Penso e spero abbia colto il mio disappunto e mi auguro non risucceda.
Nelle prime settimane in cui avevo ripreso a lavorare dopo che Daisy-cucciola era venuta a vivere da me, non ero però così sicura di tornare a casa e trovare la situazione che vi ho descritto. Temevo soffrisse la mia mancanza, dopo avere passato i primi giorni completamente insieme, e quindi potesse magari mettersi a guaire durante tutte le ore della mia assenza e pensavo che mi sarei ritrovata le lettere minatorie dei miei vicini appiccicate sulla porta! “Cosa farà tutte quelle ore senza di me? Si sentirà persa, spaesata, abbandonata! Le avrò lasciato abbastanza giochi a disposizione?”
Un’altra mia paura, più catastrofica, era che potesse farsi del male con oggetti che le avevo lasciato a portata, della serie: “Oh no! Ho lasciato quel sacchetto di plastica sul mobile, potrebbe cadere e poi Daisy potrebbe morsicarlo e soffocare!” E così, appena arrivava l’ora della pausa pranzo, inforcavo la mia vecchia bici e pedalavo velocissima verso casa (che si trova a cinque minuti di distanza dal mio posto di lavoro ma mi sembrava all’epoca un tragitto lunghissimo) sentendo nelle orecchie la musica epica di una famosa pubblicità che diceva: “L’antico vaso andava portato in salvo!” e sostituivo le parole con: “Il piccolo cane andava portato in salvo!”
E così, parcheggiato l’aereo…ehm, la bicicletta, correvo verso il portone di casa, premevo il tasto dell’ascensore e inserite le chiavi nella serratura: “Daisy! Ah…dormivi! Sei viva! Ce l’abbiamo fatta anche stavolta!”
Fine Capitolo 10
(settimanalmente Federica ci racconterà un capitolo della sua vita con Daisy)
➔ Puoi leggere qui gli altri capitoli di “Io e Daisy, diario di una vita insieme”