Se abbiava giù botte. A ogni alzata di sguardo arrivava pronto un secco “no”, tanto che il povero cane doveva aver pensato di chiamarsi in quel modo. Beh, era pur sempre una parola. L’unica che riceveva in quel suo mondo circoscritto nel metro della catena che lo legava dal collo. I suoi proprietari che lo tenevano in quella situazione, cuccia sporca e pappa poca, si rifiutavano però di consegnarlo agli operatori Peta.
Ci sono voluti cinque anni prima che uno di loro, Michael Moss che nel frattempo si era innamorato di quel cagnolino biondo, riuscisse a farselo affidare. Ma il momento è arrivato e per il cane, che non sapeva di chiamarsi Marley, il mondo si è finalmente aperto oltre i confini della sua catena.
Per lui era tutto sconosciuto. Il rifugio dovette parere a quel cagnolino denutrito una residenza a cinque stelle. Acqua pulita senza alghe dentro, ciotola lavata dopo ogni pasto… e poi i veterinari che lo hanno liberato dai parassiti, un bel bagnetto… Marley in poco tempo è rifiorito.
Moss se l’è portato a casa, dove ha imparato a godersi le carezze e le attenzioni, a giocare con l’altro cane di casa – la siberian husky Kyah – e a fidarsi delle persone. Si gode il calduccio delle copertine sul divano, ha i suoi balocchi e abbaia quanto gli pare e piace. E’ felice. Per Marley ‘no’ è solo un ricordo lontano.