La sua prima poesia, dolcissima, fu per Dik, il suo amato barboncino. E’ la storia di un amore profondo, quella fra Totò e i cani. Tanto profondo da spingere il Principe della Risata a rilevare un canile per trasformarlo in un centro d’accoglienza per randagi all’avanguardia per l’epoca, l’Ospizio dei Trovatelli.
Erano oltre 250 i cani senza famiglia accolti nel rifugio alle porte di Roma che negli anni Sessanta Totò decise di acquistare e che gestiva sostanzialmente in prima persona, dopo averlo reso una struttura attrezzatissima con tanto di sistema fognario, ambulatorio, cucine e, naturalmente, cucce confortevoli per i trovatelli. “I cani – diceva – sono a metà strada tra gli angeli e i bambini”.
Il rapporto tra Antonio De Curtis, in arte Totò, e il mondo dei quattro zampe è approfondito nel libro di Vittorio Paliotti Totò, Principe del Sorriso. Qui l’autore ha raccolto le testimonianze del legame speciale fra il mito della risata e gli animali. Dik, si diceva, su tutti. Proprio lui è stato protagonista di una disavventura che lasciò per giorni il suo celebre proprietario col fiato sospeso.
Totò e Dik erano a spasso nel parco dei Parioli, quando il cane si allontanò perdendosi. Totò, in pena, offrì una ricompensa a chiunque riuscisse a riportargli il cagnolino. Si presentarono in molti alla sua porta. Lui consegnò a tutti una mancia ma di Dik nulla: nessuna notizia. Fino a qualche giorno dopo, quando – magro e affaticato – il barboncino tornò a casa da solo. “Totò piangeva, quando lo riabbracciò”, ricorda il cugino e segretario Eduardo Clemente. E allora eccola, la poesia di Totò dedicata a Dik.
Dick
Tengo ‘nu cane ch’è fenomenale,
se chiama “Dick”, ‘o voglio bene assaie.
Si perdere l’avesse? Nun sia maie!
Per me sarebbe un lutto nazionale.
Ll ‘aggio crisciuto comm’a ‘nu guaglione,
cu zucchero, biscotte e papparelle;
ll’aggio tirato su cu ‘e mmullechelle
e ll’aggio dato buona educazione.
Gnorsì, mo è gruosso.è quase giuvinotto.
Capisce tutto… Ile manca ‘a parola.
è cane ‘e razza, tene bbona scola,
è lupo alsaziano,è polizziotto.
Chello ca mo ve conto è molto bello.
In casa ha stabilito ‘a gerarchia.
Vo’ bene ‘ a mamma ch’è ‘a signora mia,
e a figliemo isso ‘o tratta da fratello.
‘E me se penza ca lle songo ‘o pate:
si ‘o guardo dinto a ll’uocchiemme capisce,
appizza ‘e rrecchie, corre, m’ubbidisce,
e pe’ fa’ ‘e pressa torna senza fiato.
Ogn’anno, ‘int’a ll’estate, va in amore,
s’appecundrisce e mette ‘o musso sotto.
St’anno s’è ‘nnammurato ‘e na basotta
ca nun ne vo’ sapè: nun è in calore.
Povero Dick, soffre ‘e che manera!
Porta pur’isso mpietto stu dulore:
è cane, si … . ma tene pure ‘o core
e ‘o sango dinto ‘e vvene… vo ‘a mugliera…
Non solo Dik
L’impatto fu terribile. Il cane era stato investito e versava in condizioni gravissime. Totò era lì e assistette alla scena. Non ci pensò un attimo: prese su il meticcio e lo portò di filato dal veterinario più affermato del momento, il dottor Mascia. Un mese di medicazioni, cure… Totò sempre lì al fianco di quel cagnolino. Lo chiamò Mosè.
Aveva perduto l’uso delle zampe anteriori, il povero cane, nell’incidente. Ma Totò voleva che ritrovasse la sua autonomia di movimento ad ogni costo. Ecco quindi che, tramite il veterinario, fece realizzare dall’istituto ortopedico dell’università di Roma una delle prime protesi a rotelle. Con delle cinghie venne applicata al torace del cagnolino che sì: camminava. Totò pianse di gioia. Mosè fu uno tra i suoi cani che amò di più, in barba alle critiche di chi gli rimproverava tante spese e attenzioni per un cane, a dispetto di tante persone prive dell’uso delle gambe. Mondi diversi. Totò lo sapeva.