La Peste Suina Africana (PSA) è una malattia virale altamente contagiosa e letale.
Colpisce animali appartenenti alla famiglia dei suidi (suini domestico e specie selvatiche).
Si tratta di una malattia insidiosa, che fortunatamente non si trasmette né all’uomo né al cane.
Ma entrambi possano rappresentare un vettore passivo di trasmissione indiretta.
Vediamo allora in quale modo i cani possono essere adoperati per prevenire la diffusione della peste suina.
Peste suina: i meccanismi di diffusione
È necessario arginare la diffusione di questa malattia soprattutto per tre ordini di motivi:
- l’attuale mancanza di vaccino
- l’impatto sulla suinicoltura e, in generale, l’economia italiana: un solo focolaio potrebbe comportare la perdita di oltre 5.000 posti di lavoro, oltre all’abbattimento di migliaia di maiali e al blocco delle esportazioni delle carni e dei salumi
- l’estrema resistenza ambientale del virus che sopravvive, per esempio, nelle carni infette, fino a 4 anni.
Proprio quest’ultimo punto consente di capire quanto lo smaltimento efficace e sicuro delle carcasse di cinghiale infette svolga un ruolo cruciale.
E invece, in genere, solo una piccola percentuale di carcasse (<10%) viene trovata e distrutta in modo sicuro.
Pertanto il virus viene rilevato piuttosto tardi.
In pratica, quella che viene percepita come la fase di invasione (ad esempio il primissimo rilevamento di una carcassa infetta) è, in realtà l’esordio (a volte anche il picco) di un’epidemia silente.
Vale a dire che un gran numero di carcasse infette sono già ampiamente presenti nell’area, pur non ritrovate.
Strategie di contenimento della peste suina
Non è sufficiente la sola riduzione della densità della popolazione di cinghiali, se le carcasse non vengono rinvenute e rimosse in modo sicuro.
L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) suggerisce l’utilizzo di cacciatori e silvicoltori per il ritrovamento, in quanto principali conoscitori delle aree di presenza del cinghiale.
Tuttavia, l’inaccessibilità di alcuni luoghi (sottoboschi molto fitti, roveti, paludi, etc.) complica l’avvistamento.
Proprio in virtù di queste difficoltà è stato realizzato un progetto sperimentale per l’addestramento di cani da detection al rilevamento delle carcasse di cinghiale, da parte di ENCI, LEGAMBIENTE, SIEF (Società Italiana di Ecopatologia della Fauna) e Università Federico II di Napoli (Dip. di Medicina Veterinaria).
Questi cani, rispetto agli operatori umani, si caratterizzano per:
- una maggiore efficacia: l’olfatto, al contrario della vista, permette al cane di ispezionare più velocemente le aree d’indagine (comprese quelle di difficile accesso e percorribilità)
- un monitoraggio non invasivo: il cane da detection lavora sotto il controllo del conduttore e in silenzio, riducendo il disturbo alla fauna non target presente nelle zone di monitoraggio e un eventuale allontanamento, su lunghe distanze, da tale zona
- l’assenza di contatto con il target di ricerca: i cani sono addestrati alla cosiddetta “segnalazione passiva”, ovvero a segnalare la presenza del target immobilizzandosi o sedendosi in prossimità dello stesso senza avere alcun contatto con esso
- la possibilità di coprire in modo più capillare, efficace e veloce l’area di ricerca, soprattutto in caso di fitta vegetazione
- una potenziale riduzione dell’utilizzo di personale.
L’ausilio di cani da detection offre, pertanto, una risposta rapida alla necessità di reperire velocemente le carcasse degli animali infetti, agevolando quindi il contenimento della peste suina.
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