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Curiosità

Cani e Arte: dall’antico Egitto a Picasso



Il binomio cani e arte è sempre stato presente, tanto da fare di Fido l’animale più rappresentato nella Storia dell’Arte.

Lo ritroviamo già nelle rappresentazioni rupestri di diverse popolazioni primitive.

E il binomio cani e arte continua pure presso gli Egizi, nella scultura Mesopotamica, sui vasi Greci e nelle pitture Romane.

E allora approfondiamo questa presenza artistica del cane…

Dal Dio Anubi ai cani di Roma

Il cane -ma più precisamente il Levriero egiziano- era un animale da compagnia e veniva utilizzato nella caccia.

Finì poi con l’essere adorato, trasformandosi in Anubi, il dio della morte, poi divenuto “il guardiano dei morti”.

Anubi veniva rappresentato come uno sciacallo o un cane, soprattutto nelle sculture; o come una figura umana con la testa di sciacallo o di cane, soprattutto in pittura.

Il suo colore era sempre il nero, perché tale era il colore dei corpi dopo aver subito il processo di imbalsamazione.

Il suo ruolo era molto importante: Anubi custodiva infatti una bilancia grazie alla quale pesava le anime dei defunti con la piuma di Maat.

Il suo soppesare la leggerezza o la pesantezza di un’anima era una funzione fondamentale: se l’anima era leggera come la piuma di Maat era affidata ad Osiride; se invece era più pesante finiva nella bocca di Ammit.

Questo perché la leggerezza significava che il defunto aveva vissuto la sua vita virtuosamente e poteva quindi accedere ai campi Aaru.

Se invece il piatto della piuma saliva, il cuore del morto veniva mangiato dal mostruoso Ammit e il suo possessore era condannato a restare nel Duat, in eterno.

Nell’Impero Romano i cani furono molto diffusi principalmente:

  1. per le attività di caccia, molto apprezzate a Roma (ereditata dalla Grecia): ne sono simbolo in particolare levrieri e segugi
  2. per i combattimenti in battaglia e nelle arene dei gladiatori: compaiono così i molossi
  3. come protezione: il cane si guadagna un posto d’onore accanto all’uomo diventando il suo fidato amico, e la sua rappresentazione artistica lo declina per la prima volta in chiave amichevole, spesso con una valenza simbolica legata alla fiducia e alla custodia.

Cani e arte: dal 1400 al 1700 le rappresentazioni di Fido abbondano…

Lungo questi 300 anni si rafforza la figura del cane inteso come animale che veglia sul suo padrone. 

E come accompagnatore degli apostoli, dei missionari e degli uomini di fede.

Il ruolo del cane nell’arte venatoria si consolida, ma si lega sempre di più alla nobiltà.

Non a caso nel ‘600 Frans Snyders, pittore dal talento eccezionale, rappresenta con indiscussa maestria il cane nei suoi dipinti di scene di caccia.

Il suo olio su tela “Combattimento tra cani e lupi” ci lascia ancora oggi estasiati e quasi increduli nell’osservarne i dettagli.

Ma molte rappresentazioni sono, come detto, ritratti di nobili e governanti e autoritratti di pittori nei quali compare il cane.

Tiziano ad esempio ritrae il sovrano Carlo V con il suo quattro zampe.

L’imperatore impugna l’elsa della spada con una mano e con l’altra accarezza il suo fiero ed elegante cane irlandese – forse il suo fedele Sampere.

Cani e arte dell’Otto-Novecento: rappresentazioni di compagni di vita

Tra l’Ottocento e il Novecento il cane appare (e viene rappresentato) sempre di più come fedele compagno dell’uomo.

Addirittura come amico intimo, che quasi si fa carico di un’interiorità condivisa col padrone: dalla dolcezza alla malinconia.

Il dipinto di Zandomeneghi, famoso pittore impressionista italiano, dal titolo (non casuale)L’amico fedele”, simboleggia perfettamente il primo di questi sentimenti.

Rappresenta un momento familiare e intimo tra un cane e la sua padrona: un momento di coccole.

Di contro, malinconia, tristezza, senso di emarginazione incombono su Due acrobati con cane”, risalente al periodo blu di Picasso.

Un ragazzo accarezza la testa del cane che si appoggia alla sua gamba.

E pare appunto che l’animale condivida con l’umano il suo stato intimo.

Un quadro di grande forza, un capolavoro di rappresentazione della comunione di sentimenti uomo-cane.

E dalla congiunzione emotiva si passa a quella fisica con Autoritratto con cane” di Ligabue.

Qui emerge una lampante somiglianza fisica tra i due: le rughe del volto dell’artista e quelle del muso del cane, le pieghe dei vestiti e la forma del corpo dell’animale.

Da qui al passo successivo, quello di umanizzare il cane, non trascorre molto tempo.

Ci pensa Cassius Marcellus Coolidge – che deve la sua fama proprio alla fortunata serie di diciotto dipinti raffiguranti cani che giocano a poker- nella sua ironica opera “Un amico in difficoltà”.

I cani qui hanno sembianze umane, e si “impadroniscono” oltre che delle fattezze anche dei vizi degli uomini: gioco d’azzardo (barando) e alcool.

Tale padrone tale cane, verrebbe da dire.

Anche se sarebbe indubbiamente meglio che fosse l’uomo a somigliare al suo fidato animale, piuttosto che il contrario!!!

Credits Foto: Pixabay.com

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