Usare i cani per intenerire i passanti durante l’accattonaggio era già vietato, e se i quattro zampe apparivano sofferenti o deperiti erano guai. Ora però a Torino il regolamento comunale prepara un giro di vite che non concede margini di discrezionalità come le condizioni dei cani e vieta di “utilizzare qualsiasi specie animale, sia domestica-selvatica-esotica, per la pratica dell’accattonaggio”.
Armadilli non se ne vedono, tassi neppure. Di senza tetto che chiedono la carità coi criceti non v’è notizia. Facile che si parli di cani, quegli stessi che sovente per chi non ha dimora sono la famiglia. La bozza è stata così redatta, secondo le giustificazioni accampate dal Comune su cui si è scatenata una raffica di reazioni di reprimenda, per andare incontro alle nuove sensibilità, il cosiddetto senso comune.
Ma nella giunta, stando all’insuccesso riscosso dal provvedimento in fieri, devono averne fraintesi i contorni. Più sensibilità nei confronti degli animali e in particolare di quelli domestici, cani in testa, sì certo che c’è. Non travalica però quella verso l’essere umano. E qui si parla di umanità tra le più dolenti. Perché accanirsi, giusto per restare in tema anche col lessico?